Un’alternativa al proibizionismo è possibile
La nota antiproibizionista 2 settembre 2024
Editoriale di Roberto Spagnoli – RADIO RADICALE
g.montefrancesco (solo per lievi interventi correttivi nella trascrizione automatica)
Abstract
Il sistema proibizionista «non ha prodotto in nessun luogo risultati positivi nel prevenire il consumo di droghe e la crescita di questo fenomeno, né ha impedito i seri danni causati dal consumo stesso. Oltretutto, la mancanza di risultati positivi non ha neanche portato a seri sforzi per cambiare tale sistema».
Così Peter Cohen (sociologo, uno dei massimi studiosi delle droghe a livello internazionale) concludeva un suo saggio in cui poneva la riduzione dei rischi come cardine della politica delle droghe per passare dall’eliminazione del consumo alla sua regolamentazione.
Era il 1998.
In Italia, da allora, non solo non è cambiato nulla, ma l’intento dell’attuale governo è quello di peggiorare ulteriormente la situazione.
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Editoriale
Non è molto difficile legiferare sulla soppressione totale o quasi di droghe particolari e continuare a mantenere tale soppressione come obiettivo principale fintanto che tali droghe non vengano consumate o usate raramente.
I problemi cominciano al sorgere allorché le droghe proibite iniziano a diventare parte di nuovi stili di vita nel cui ambito le ragioni che sono alla base della loro soppressione diventano irrilevanti.
Lo scriveva Peter Cohen nel 1998 sono parole tratte dal libro “Dalla parte della ragione. Scritti sulle droghe per Fuoriluogo e altri saggi” curato da Franco Corleone e Grazia Zuffa uscito qualche tempo fa per le edizioni Menabò.
Peter Cohen sociologo è uno dei più importanti studiosi delle droghe a livello internazionale; fondamentali i suoi studi sugli stili di uso di diverse droghe per fini ricreativi.
Le sue ricerche dimostrano che un’alternativa al proibizionismo è possibile.
Ogni giorno miliardi di persone, in tutto il mondo, fanno uso di sostanze psicoattive.
Lo facciamo io e voi: consumiamo caffè, beviamo alcolici, fumiamo tabacco e sono tutte sostanze potenzialmente pericolose delle quali è meglio non abusare.
Produzione, vendita e consumo (di queste sostanze) sono legalizzate cioè sono disciplinati da norme che tutelano la sicurezza e la salute collettiva dei singoli.
In genere le assumiamo senza particolari problemi perché la grande maggioranza di noi ne fa un uso controllato, un autoregolazione che riduce i rischi e i danni per noi stessi e per gli altri.
Da migliaia di anni l’umanità conosce e consuma sostanze psicoattive per curare malattie, per alleviare il dolore o la fatica, per motivi magici o religiosi o anche solo per piacere
Alcune di queste sostanze sono diventate però il problema che conosciamo oggi da quando, contro ogni evidenza, sono state proibite senza alcun fondamento scientifico e sono state considerate diverse dalle altre. Sono state considerate intrinsecamente negative; il loro uso è sempre incontrollabile e sempre destinato a produrre una dipendenza che può condurre anche alla morte.
In questo modo è stata creata la droga.
E’ questa una definizione generica priva di valore scientifico sotto la quale, per ragioni politiche, sono state accomunate sostanze molto diverse fra loro il cui unico denominatore comune è, appunto, quello di essere proibite.
Dalla droga si è arrivati alla guerra alla droga che ha finito per diventare guerra alle persone che usano droghe.
Nel1998 sulla base delle sue ricerche, in particolare uno studio relativo al consumo di canapa e cocaina da Amsterdam, Peter Cohen scriveva:
“Sarebbe opportuno, regolamentare legalmente il consumo di droghe e non impedire ai consumatori di controllare il proprio consumo di stupefacenti, piuttosto che cercare di impedire il consumo di droghe con la proibizione. Nella misura in cui lo Stato ha un ruolo da svolgere nel controllo delle droghe, esso dovrebbe concentrare i propri sforzi sulla prevenzione dei rischi”.
Il ragionamento di Cohen imponeva la riduzione dei rischi come nuovo cardine della politica delle droghe, per passare dall’eliminazione del consumo alla sua regolamentazione.
Cohen scriveva: “Lo Stato può giocare un ruolo importante nella promozione di controlli sul consumo delle droghe che partano dal consumatore stesso. Può farlo lasciando che emergano le condizioni che permettono al consumatore di droghe di mettere in atto al meglio le proprie considerevoli strategie di controllo”.
“In questo senso le agenzie sanitarie sociali potrebbero diffondere informazioni attendibili sui rischi e sui contesti nei quali possono verificarsi errori nell’uso delle sostanze o sui modi di ottenere dalla droga il massimo affetto ai livelli più bassi di dosaggio”.
“Per ottenere questo, scriveva, bisogna regolamentare l’intensità il prezzo e la distribuzione delle sostanze e inoltre bisognerebbe fornire informazioni e aggiornamenti costanti mediante l’interazione tra consumatori ed esperti.
Questo bisognerebbe fare ma, scriveva Cohen nel ’98: “Al contrario, molti sistemi statali di controllo delle droghe, basate sul proibizionismo, si concentrano su misure che risultano distruttive per il controllo individuale. I regimi proibizionistici determinano il perpetuarsi di una massiccia marginalizzazione, della carcerazione e della discriminazione sia dei consumatori che dei fornitori.
Vengono così costantemente minacciate le reti di comunicazione dei consumatori, riducendo la loro efficacia come veicoli di conoscenza per un consumo sicuro.”
Peter Cohen, dunque, scriveva questo nel mille 1998; in seguito le cose hanno cominciato a cambiare. Pensiamo per esempio alla legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis in Canada o in metà degli Stati Uniti, per fare solo due esempi, ma sono molti gli Stati che hanno avviato la riforma delle loro leggi o che si apprestano a farlo.
Da tempo la discussione è aperta anche in sede di Nazioni Unite.
Per affrontare quella che viene definita una sfida multiforme che tocca le vite di milioni di persone in tutto il mondo si legge, sul sito dell’ONU, è fondamentale adottare un approccio basato su prove scientifiche che dia priorità alla prevenzione e al trattamento.
E ancora: politiche efficaci sulla droga devono essere radicate nella scienza, nella ricerca nel pieno rispetto dei diritti umani, nella compassione ed una profonda comprensione delle implicazioni sociali economiche e sanitarie dell’uso di droga.
L’Italia con il governo Mellone ha imboccato la strada contraria.
Per la Presidente del Consiglio la droga è una devianza; per Matteo Salvini non esiste il diritto di drogarsi. Il sottosegretario Alfredo Mantovano ha eliminato la stessa nozione di riduzione del danno dalla relazione annuale del Governo al Parlamento.
L’orizzonte resta quello della guerra alla droga.
Il risultato è l’introduzione di nuovi reati, l’inasprimento delle pene previste per quelli già esistenti, la classificazione come droga di una sostanza che droga non è (parlo dalla Cannabis light) e questo senza alcuna considerazione delle evidenze scientifiche e senza alcuna comprensione delle implicazioni sociali, economiche e sanitarie.
“Questo sistema non ha prodotto in nessun luogo risultati positivi nel prevenire il consumo di droghe e la crescita di questo fenomeno né ha impedito i seri danni causati dal consumo stesso.
Oltretutto la mancanza di risultati positivi non ha neanche portato seri sforzi per cambiare tale sistema”.
Così concludeva il suo saggio Peter Cohen; parole che riassumono in maniera efficace la politica delle droghe tuttora vigente in Italia. Peter Cohen scriveva così nel 1998.
Ventisei anni dopo in Italia non è cambiato nulla anzi l’intento ora è quello di peggiorare ulteriormente la situazione.
Fonte
La nota antiproibizionista 2 settembre 2024
Editoriale di Roberto Spagnoli – RADIO RADICALE – 07:30 Durata: 6 min 35 sec
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g.montefrancesco (solo per lievi interventi correttivi nella trascrizione automatica)