Elogio del tabagismo. Smetterò quando sarò pronta
Qualche mese fa ho assistito ad una conferenza presso la facoltà di Giurisprudenza, a Siena. Mi sono presa l’ennesima arrabbiatura sentendo parlare un’emerita scienziata della nostra università, della quale non ricordo il nome, di tabagismo.
Di cose interessanti ne ha dette, tipo l’incidenza a livello mondiale di questo ‘vizio’, e poi ha raccontato anche un caso molto interessante di un paziente che, appena operato per carcinoma al polmone dovuto al fumo, subito dopo, appena in condizione di alzarsi dal letto era corso a fumare!!!
La scienziata elencava anche una serie di cause ‘psicologiche’ delle quali non ne ricordo nessuna salvo il fatto che mancava la simulazione del ciucciamento al seno materno…ma forse era troppo banale. La scienziata concludeva il suo intervento con la misura preventiva: traumatizzare i bambini e le bambine già in quarta elementare, facendo loro vedere gli effetti dannosi del fumo…peggio di quanto non facciano già vedere le foto sui pacchetti di sigarette. Non ho resistito era troppo per me, che sono una non violenta tout court.
Lei rideva mentre illustrava i vantaggi di questa strategia traumatica, io me ne uscivo dalla sala incazzata e furiosa.
Sono una tabagista. Fumo dall’età di quattordici anni. Ho cominciato perché la sigaretta me la offriva mio padre a fine pasto, voleva solo fumare in compagnia, dopo pranzo, quando intavolavamo lunghe e appassionate discussioni di politica su fronti avversi.
Erano i primi anni settanta del secolo scorso, mia madre proprio non riusciva a fumare né la interessava la politica. Lei aveva altri orizzonti da perseguire. Altre relazioni.
Vorrei solo aggiungere che mio padre non mi ha insegnato a fumare: io non aspiravo e lui non mi ha mai corretta, non ha mai detto :” guarda si fa così”. cosa che fece poi un coetaneo per deridere la mia insipienza e vantare la sua abilità nel farmi ‘ganza’ e io come una fessa ci cascai perché volevo far parte del gruppo; da adolescenti è quasi inevitabile fare questo, purtroppo.
Non credo che la strada giusta per affrontare il problema del tabagismo sia solo quella di considerarlo una fottuta malattia che produce costi al sistema sanitario nazionale.
Produce costi rilevanti anche nelle famiglie.
Eppure il tabagismo va visto anche come fenomeno culturale. Il tabagista dice quello che lui/lei stesso/a è: ‘sono un essere dipendente’. Il suo benessere passa da qui. In una società che ti assilla con il valore spinto all’individualismo, all’autonomia a tutti i costi, il tabagista è lì che afferma con la sua presenza che siamo ‘dipendenti’ o meglio inter-dipendenti. Comunque dipendenti.
L’io non è padrone in casa propria, sosteneva Freud, è vero;l’io riposa sulle conferme che riceve dall’altro. Si forma ed evolve in relazione. Narciso che rifiuta la relazione con Eco e con Aminio, si uccide, per non poter amare se stesso. L’io si forma sotto lo sguardo dell’altro, davanti a uno specchio, da solo, non può riconoscersi. Forse è meglio soffrire di dipendenza da fumo che di narcisismo patologico, si fa danno a se stessi ma meno danni agli altri.
Mio padre non è stato un padre patriarcale, mi ha amato in quanto figlia femmina e gli sono grata anche per questo ‘controverso’ vizio che mi ha lasciato in eredità, e che pratico secondo una mia etica:
— non fumare se ci sono accanto persone a cui da fastidio, se all’aperto spostarsi dove il fumo non possa disturbare il prossimo;
— non buttare le cicche per strada dove capita ma negli appositi posacenere, cestini o nelle scatolette da tasca o da borsetta;
— chiedere sempre se il fumo disturba gli astanti, specie al mare, ai vicini di ombrellone o alle fermate degli autobus.
— non buttare pacchetti vuoti e scartamenti ovunque capiti.
Sono certa che smetterò quando sarò pronta, quando l’avrò sostituito con una relazione più importante, non per divieto, o con violenza, ma per amore e con metodi di velluto.
Non è una questione sanitaria ma una questione culturale e chissà forse, visti i tempi, di politica?
Lucy