Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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La mia storia non è un attacco alla psichiatria

Ho 35 anni e ho letto un po’ dei contenuti del vostro sito: sarebbe interessante una sezione sui problemi di dipendenza da sostanze regolarmente prescritte.
Questa è la mia testimonianza.
Ho avuto esperienze, a partire dai 17 anni, con le varie sostanze che possono indurre dipendenza in
questo ordine: tabacco, alcol, cannabis, benzodiazepine, antidepressivi SSRI, antipsicotici.
Le prime 3 sostanze le ho provate e trovate da solo, per il piacere e devo dire tra le tre il tabacco è il più difficile da smettere, ma ci si riesce. Le successive mi sono state prescritte dai medici specialisti e generici, come terapia alla fibromialgia, una sindrome da dolore cronico che ti non ti fa dormire e ti fa stare male prima fisicamente e alle lunghe mentalmente.

Bene: i veri problemi li ho avuti con le sostanze prescrittemi dai medici. Ho scoperto davvero cosa fosse la dipendenza e sono stato costretto ad usarle a intermittenza negli ultimi 7 anni perché mai nessun medico mi ha davvero preparato e seguito nelle fasi in cui, per la remissione dei sintomi della fibromialgia, desideravo sospenderne l’assunzione.
Cosa succedeva? Prontamente, quando dichiaravo che mi sentivo bene e desideravo smettere, il medico mi diceva:
“Cali il dosaggio secondo questi tempi (benzodiazepine e SSRI) e in 3 settimane ne sei fuori.
“Sicuro?”
“Sì! Vai tranquillo che queste sono sostanze sicure e il tuo dosaggio tanto era basso.”
“Arrivederci grazie dottore!”
Inizio a scalare e guarda un po’, tutto dovrebbe andare bene, ma io sto malissimo: sfascio la casa, aggredisco i miei familiari, arrivo ad infliggermi ferite, tremo tutto, non dormo e se dormo faccio incubi terrorizzanti, inizio apensare insistentemente al suicidio, rovino i miei rapporti con tutti… e ritorno dal medico che dice serio:
“Eh! (pausa) Si vede che non sei ancora pronto e la patologia soggiacente si ripresenta… perché tu sei un tipo un po’sensibile, vero?” “E che ti devo dire”, penso, “faccio dei sogni in cui mi sparo in faccia…”.
“E sì!” rispondo” non mi sento bene” E riprendo a per l’ennesima volta la “terapia”.
E divento un tossicodipendente.
Perché? Perché l’assunzione delle benzodiazepine ad esempio, se si segue una cura regolare (“le 10 goccine la sera per dormire”), DEVE essere incrementata per ri-ottenere l’equilibrio chimico sul quale il sistema nervoso si è assestato dopo l’immissione del farmaco, altrimenti si iniziano a sentire i sintomi dell’astinenza… non si tratta dello stato ansioso o depressivo “soggiacente”, come dice il medico.
Parlo dell’”equilibrio” chimico legato ad una sostanza esterna, e non di stato di benessere. Bisogna aumentare per via dell’assuefazione, ovvero, il fenomeno per cui a parità di dosaggio, l’entità degli effettisull’organismo diminuisce nel tempo. Come con l’eroina dunque: più ti fai e più ti devi fare.
E sì: il farmacista ti comincia a guardare strano… ma c’è la regolare prescrizione del medico curante.
E allora: “Meno male finalmente scoccano le ventidue e posso riprendere le diec..dodici gocce, va!” Meno male! Appena in tempo… la psicosi e la depressione soggiacente stavano quasi per smetteredi soggiacere! Ed ecco che mi sento un malato di mente e un tossicodipendente: si vede che ho davvero bisogno di questa medicina, penso, perché se resto senza… crollo.

E invece non è così. Un giorno mi pongo una domanda importante: “E se io, dico, io come organismo unico, avessi bisogno di più tempo per la sospensione del farmaco? Può essere che abbia bisogno del tempo di cui ho bisogno io?” Cerco notizie in rete, le cerco in 4 lingue e scopro che ci sono dei medici che analizzano l’astinenza partendo dai casi reali dei pazienti e non dai foglietti illustrativi o i manuali. Nelle analisi, nelle statistiche, mi ritrovo fedelmente rappresentato ed incluso; e già, sono un tossicodipendente.

Ormai non più un paziente in cura.
C’è scritto che ci vuole taaaanto più tempo:tre, sei mesi o anche un anno o un’anno e mezzo!
Inizio a scalare le gocce molto lentamente e ora so, e sono forte di sapere che non c’è nulla di soggiacente, ma solo la mia palese dipendenza. Non mi sento più un malato e vado avanti tranquillo
evitando le crisi, ci metto tanto tempo, un anno, MA ne vengo fuori definitivamente. Sia dalle
benzodiazepine che dagli antidepressivi. Riguardo questi ultimi vorrei segnalare un altrofatto curioso. Esiste la pasticchetta da 25 mg e quella da 50 mg. Se devi scalare e lo fai così come ti dice il medico, nel peggiore dei casi passi da quella da 50 a quella da 25 nel giro di 2-3 settimane e poi basta. Se è fantasioso ti dice che devi alternare la frequenza delle 2 pasticche, per approdare a quella da 25. Se usi il buon senso cominci a spezzettare le pasticche in mezzi quarti e ottavi. Se usi ancora più il buon senso, e chiedi, se esiste una soluzione in gocce anche per gli antidepressivi, probabilmente ti sentirai dire di no, perché non ce n’è bisogno!
E invece esiste. Hanno iniziato a farla da poco perché i fatti mostrano che non è facile per niente sospendere gli antidepressivi. Quando smisi io, dovevo frazionare le compresse, e riducevo la dose solo man mano che riuscivo a sopportare i sintomi dell’astinenza, se prendi un farmaco in capsule non puoi neanche farlo. Non sono state 3 settimane ma 6 mesi.

Può capitare che si abbia bisogno, in casi seri e comprovati, di un farmaco per superare un periodo difficile e sbarcarsi in un altro periodo, più favorevole ad un controllo autonomo dello stress.
Se una persona si offre come coordinatore della tua scelta terapeutica è bene che sia competente. Gli stai affidando la tua salute e la tua vita. Bisogna esigere assolutamente la competenza di base dai medici: se si riuscisse ad ottenere questa, sarebbe un trionfo senza eguali. Come paziente non avevo bisogno di terapie rare e costose, farmaci sperimentali introvabili, diagnosi complesse, non avevo bisogno che mi si dedicasse più tempo del solito, non avevo bisogno di un luminare, avevo solo bisogno di un medico più informato, che ascoltasse e si interrogasse un po’ sul perché dei miei insuccessi nella sospensione e applicasse il comune buon senso.

Quanti di noi prendono psicofarmaci perché scambiano i sintomi dell’astinenza per la malattia?
Prendo lo Xanax per non sentire i disturbi che si presentano quando lo xanax smette di fare effetto. In effetti: prendo lo Xanax come cura per i sintomi d’astinenza da benzodiazepine…. con quel piacevole gusto alla violetta!

Conosci te stesso, che è meglio. Sì, dal medico ci devi andare, ma poniti le domande giuste. E’ bravo? Le autorità sono tali solo finché gli attribuiamo un comprensione superiore ed una competenza specifica, se non ci convincono è il momento di usare la nostra di testa.

Specialmente se siamo responsabili delle nostre scelte, e lo siamo.

Infine
Mi preme sottolineare che la mia testimonianza non è un attacco alla psichiatria in sé, ma un esortazione a rivedere con più cautela e responsabilità l’uso di queste sostanze, sia da parte dei medici che dei pazienti.
Questi ultimi e i loro familiari devono pretendere chiarezza e informazioni esaustive e, volendo forse essere più diretti, non dovrebbero fidarsi ad occhi chiusi. I medici psichiatri devono riscoprire da capo il rispetto per la volontà e la natura del paziente: il suo stato di confusione o debolezza momentanea di spirito non sono una buona ragione per convincerlo ad accettare ogni sorta d’aiuto.