L’oppiofagia. I mangiatori di oppio. PARTE I
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L’oppiofagia
Qualche giorno ho letto dell’oppio per una domanda che mi era stata rivolta e che riguardava la pratica di ingerire, mangiare l’oppio: l’oppiofagia
Aggiungo che anche io da piccolo, molto piccolo ho avuto l’occasione dell’oppio.
Dalle mie parti (Salento) ma credo anche in altri posti, era diffuso di quietare i bambini vivaci facendo loro succhiare, da un piccolo involto fatto con un fazzolettino, un infuso di papaver somniferum; ovviamente dormivo.
Il “pacchettino” era chiamato papagna.
Non erano però rari gli incidenti per eccessiva concentrazione delle sostanze presenti; la formulazione “farmaceutica” della tisana era prodotta in modo artigianale e quindi imprecisa.
I bambini morivano, così si racconta.
Ho dunque fatto un giro tra varie fonti che ho reso in rosso all’inizio di ogni descrizione.
Ne riporto brevi estratti, molto interessanti e curiosi.
1) Steven B. Karch, Pathology of Drug Abuse, Third edition, 2002, pag.336
La via orale era popolare tra i “mangiatori d’oppio” dei secoli XVII e XVIII, quando la distribuzione non era regolamentata ed i prezzi erano bassi. Oggi è una strada poco praticabile per gli abusatori perché costa troppo.
Le misurazioni delle urine sono state descritte in un solo caso clinico, relativo a un tossicodipendente che ingeriva circa 1 g di oppio al giorno. Morfina, codeina, normorfina, norcodeina e noscapina furono trovate tutte presenti nelle urine, ma non lo furono la tebaina e la papaverina (normali costituenti dell’oppio).
La concentrazione di morfina non coniugata (640 ng/mL) era più del doppio della concentrazione di codeina.
2) Ihno J. Bensussan, L’Opium, Vigot Frères, Editeurs, Paris, 1946
Se l’umanità fosse ragionevole e sapesse accontentarsi degli straordinari benefici che le apporta l’oppio in medicina, sarebbe perfetta.
Ma Molière l’ha detto bene:
La maggior parte degli uomini sono fatti in modo strano
Nella vera natura non li vediamo mai
Devono superare i limiti in tutte le cose.
Gli oppiofagi sono coloro che mangiano, masticano, assorbono o ingurgitano l’oppio.
Nella maggior parte dei casi lo consumano puro, sotto forma di pastiglie o pillole, ma molti lo mangiano anche, abbinato ad altre sostanze alimentari o medicinali o lo assorbono, disciolto in bevande (tisane, sciroppi o sorbetti) a base di tè, caffè, succhi di frutta, o altri liquidi, in cui introducono, quando possibile, una leggera quantità di liquore alcolico (Vedi, in quest’opera , il capitolo intitolato “Oppio preparato”).
L’oppio viene assunto a piccole dosi — (da 5 a 10 centigrammi al giorno) — ad orari prestabiliti o quando se ne presenta la necessità.
Indù, persiani e arabi, abituati al farmaco, spesso tollerano dosi più elevate senza alcun disagio.
Tra questi, gli incidenti di avvelenamento sono rari. Le vittime sono soprattutto bambini piccoli.
Il dottor Richard Millant cita, secondo Brouardel, il caso di mangiatori di oppio che “dopo aver iniziato con 0,02 e 0,10 gr., riescono ad assorbire fino a 10 gr. di oppio, e anche di più, mentre la dose di oppio, solitamente mortale, dice, è, per un adulto, 1 o 2 gr. “.
Cita anche il caso di “un vecchio che il dottor Zombacco ebbe spesso occasione di incontrare con il principe Mustapha-Fazil, e che aveva raggiunto la dose di 35-40 gr. a settimana”, e quello di “un paziente curato dal dottor Richardson che assumeva, contemporaneamente, fino a 96 grani di oppio al giorno”.
Queste dosi enormi sono, ovviamente, eccezionali. Sono opera di incalliti consumatori di oppio che, attraverso fasi successive, si abituano ad assorbire quantità considerevoli di sostanze tossiche, senza apparenti ed immediati pericoli per la salute.
I mangiatori di oppio consumano lo chandoo *, buono quanto l’oppio grezzo. Ma, in generale, l’oppio preparato è di gran lunga quello meno utilizzato, perché la sua preparazione richiede un lavoro lungo e delicato, e la sua concentrazione è due volte più attiva di quella dell’oppio grezzo.
Grazie alle misure di razionamento e controllo adottate dai Governi della maggior parte dei paesi asiatici, misure che tendono a frenare le vendite di traffico illecito e a ridurre progressivamente quelle degli sbocchi autorizzati, il costume di consumare oppio è in continuo calo in tutti i paesi dove ancora esiste.
La pratica dell’oppiofagia, sempre più disapprovata dall’opinione pubblica, è attualmente limitata ad alcuni centri asiatici e alle classi sociali inferiori della società di questi paesi.
È più diffuso in India, Iran, Iraq, Afghanistan, ecc., che in Cina, Indocina, Indie Orientali Olandesi, Formosa, Macao e altri paesi dell’Estremo Oriente, dove gli indigeni sono (al contrario) più abituati a fumare oppio che a mangiarlo.
*(An extract or preparation of opium, used in China and India for smoking – Wikipedia)
Sotto quali influenze è nata l’oppiofagia ?
È un fatto noto a tutti, e anche a coloro che meno si sono applicati allo studio dell’oppio, che gli adepti di questa pratica sono molto rari nei paesi a clima freddo o temperato e che, al contrario, sono numerosi nelle regioni asiatiche. dove il clima è caldo e deprimente.
In queste regioni, la grande massa della popolazione bisognosa, gli anziani e alcuni malati hanno sempre sperimentato – assicurano scrittori specializzati – un fisiologico, legittimo bisogno di stimolanti cerebrali, capaci di ravvivare le forze, esaltare gli animi o dare sollievo.
Medici, missionari, giornalisti e viaggiatori di seria reputazione hanno confermato questa osservazione. L’oppio, dicono, è per eccellenza, la sostanza che possiede tutte queste virtù.
È, in molti paesi dell’Asia orientale e meridionale, una necessità di esistenza, proprio come l’alcol nei paesi nordici, il vino e il tabacco da noi, il tè e i liquori spiritosi tra gli anglosassoni.
Vedremo più avanti cosa dicono le voci autorevoli sulla nocività di questa pratica.
g. montefrancesco