L’immagine del corpo, del nostro e di quello degli altri, è un lavoro sempre in corso
Quando la dr.ssa Di Cosmo mi ha invitata a scrivere un commento al suo pezzo sull’immagine corporea ho subito pensato a due film: si tratta di Quasi amici ( Intouchables, di Oliver Nakache e Eric Toledano, 2011) e a Il mare dentro (Mar adentro, di Alejandro Amenabar, 2004). Perché due modi differenti di problematizzare la vita in relazione all’immagine di un corpo tetraplegico. Ramon il protagonista de Il mare dentro, vive in una famiglia modesta ed è costretto a letto, da dove può solo guardare fuori dalla finestra, parlare con chi lo va a trovare o ricevere le cure di chi si occupa di lui. Intraprende una battaglia legale per chiedere l’eutanasia, nel frattempo si innamora, ma vive l’amore con rimpianto e impotenza, vive anche altre relazioni, nessuna delle quali lo fa desistere dal suo proposito che arriverà a compimento grazie all’aiuto di un’amica. Un’amica che lo aiuterà anche se non condivide la sua scelta. Perché Ramon, a differenza del prete che lo andrà a trovare obiettandogli che “una libertà che elimina la vita non è libertà” sostiene che “una vita che elimina la libertà non è una vita”.
Con un corpo tetraplegico Ramon vive solo la libertà di pensiero, e di espressione verbale, essendo il corpo ridotto a mero supporto vitale per le funzioni cerebrali e per la parola. Naturalmente io ho parteggiato per Ramon, ed è stato così per anni; la stessa compassione ho provato per la protagonista Million dollar baby (Clint Eastwood, 2004) fino a che non ho visto Quasi amici che ha modificato il mio modo di guardare al corpo tetraplegico. Philippe, il coprotagonista, è un tetraplegico ricchissimo che ha rinunciato alla pretesa di un corpo completo, ma non a quella di una vita piena; Driss è il suo badante immigrato, sfaccendato e sfrontato fino a quando non viene assunto. Quest’ultimo a volte dimentica che Philippe è tetraplegico al punto, per distrazione, di passargli il telefono.
Può sembrare indifferenza, ma poi scopriamo che questa distrazione a Philippe piace, perché gli rivela che il fantasma del corpo integro ed efficiente è un fantasma che lui e Driss condividono. Ma non c’è misconoscimento della realtà da nessuna delle due parti, e facendo i conti con la realtà, tra Driss e Philippe si instaura una relazione vitale e magica al punto che noi stessi cambiamo il nostro modo di guardare al tetraplegico: non ci appare più come un handicappato, anzi quando nominano questa parola sembra che rinvii ad altro, ad uno stereotipo vuoto di contenuto reale e utile solo a fare dell’autoironia. L’handicappato è altrove, uno spauracchio innocuo: Philippe non ci appare malato ma una persona brillante e affascinante, solo un po’ differente. La sua differenza è in quella sorta di incompletezza fisica che richiede la presenza di Driss per continuare a vivere una vita degna. Certo Philippe è molto ricco e può pagarsi un “badante”, cosa che non può fare Ramon di Il mare dentro. Eppure quando Driss dovrà lasciare Philippe non sarà facilmente sostituibile, malgrado i soldi, perché ci sono magie relazionali che non si possono comprare e arrivano quasi per caso. Philippe senza queste magie precipiterebbe nella stessa disperazione di Ramon senza più trasgressioni e voli eccitanti in parapendio, senza più corse pazze in macchina, senza più quelle emozioni forti che amava anche quando era “integro”.
Il corpo incompleto, dipendente, si fa metafora dell’immagine del corpo di tutti. È vero, come dice la di Cosmo e come scrive anche Galimberti ( Il corpo, 1983), l’immagine del corpo, del nostro e di quello degli altri, A? un lavoro sempre in corso, mai dato definitivamente in forma stabile e fissa. L’immagine è precaria e perciò fragile, nel migliore dei casi è aperta, abbandonata la pretesa alla completezza e all’autosufficienza, e si apre al suo stesso divenire, dipendente per questo dall’incontro con l’altro.
Carla Caterina Rocchi, filosofo