Fumare l’oppio
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Trascrivo quanto ho letto in due libri sugli stupefacenti e che riguardava l’uso di fumare l’oppio.
L’oppio grezzo non è adatto ad essere fumato; se ne fa quindi un estratto acquoso che viene addizionato per lo più a sostanze aromatiche. Si porta tutto a secco e si foggia in palline o in tavolette del peso di circa 0,2 gr.
Dapprima, la pillola viene infilata su di uno stiletto e rammollita alla fiamma di una lampada ad alcol; quando incomincia a bruciare si dispone nella pipa che viene mantenuta al di sopra della fiamma affinchè la combustione continui.
Circa il 25 % della morfina presente nell’oppio volatilizza e passa nel fumo. L’aspirazione è fatta in questo momento e si esaurisce in poche boccate.
Il fumatore, che secondo l’usanza è sdraiato, rimane in questa posizione per ripetere l’operazione varie volte.Un principiante non può fumare giornalmente che 0,3-0,4 g. di oppio; un fumatore medio ne fuma sino ad un grammo; un fumatore inveterato ne fuma sino a 30 g. al giorno (oltre 150 pipe).
In tal modo quasi 1 g. di morfina passa nell’organismo attraverso i polmoni.
Alla seconda o terza pipa subentra uno stato di ebbrezza.
Il fumatore da principio è lucido, vivace, parolaio: spesso ride. Ha il viso rosso, gli occhi splendenti; il circolo ed il respiro sono accelerati. Per tutto il corpo si diffonde come un senso di calore. Aumentando il numero delle pipe (20-50) si ha un graduale accasciamento: l’individuo diventa monosillabico, col viso pallido, i tratti rilassati, la pelle madida di sudore; le palpebre si fanno pesanti; ben presto sopravviene un sonno incoercibile.
Allo svegliarsi, dopo 8-10 ore, si nota un senso di spossatezza, una incapacità totale di qualsiasi applicazione.
Col tempo questi disturbi si fanno più persistenti e non si possono allontanare che fumando di nuovo ed in maggiore quantità.
La soppressione improvvisa del fumo, possibile solo per causa di forza maggiore (carcerazione, trasferimento dei coloniali, guerre), può riuscire pericolosa…
A. Simeone, Gli stupefacenti, SEU Roma, 1960.
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La storia del fumo dell’oppio, così come è impiegato dai cinesi, mostra marcate differenze rispetto alla dipendenza da morfina o eroina.
In primo luogo, il fumo dell’oppio, praticato nei paesi in cui è socialmente accettabile, mostra un modello di autolimitazione o contenimento.
È comune che i nativi di questi paesi si abbandonino al fumo dell’oppio una sera alla settimana, proprio come gli americani possono indulgere a bevande alcoliche durante una festa del sabato sera.
Inoltre, il fumo dell’oppio non è in gran parte limitato né necessariamente identificato con le frange indigenti o con individui girovaghi ma è invece radicato socialmente nelle classi dominanti e ricche del paese.
Il fumatore di oppio riferisce un effetto completamente diverso da quello dell’eroinomane:
uno stato di pace interiore e rilassamento unito al desiderio di una conversazione tranquilla, contemplativa e sociale.
Un paziente cinese e un americano, entrambi di famiglia benestante, hanno riferito simili e piacevoli impressioni legate a questa usanza orientale.
Costoro si dedicavano al fumo di oppio in media da una alle tre volte alla settimana e avevano una pipa in ogni occasione.
Il fumo di oppio viene solitamente fatto in una situazione sociale. In effetti, un paziente ha riferito di provare molta meno soddisfazione fumando da solo che fumare in gruppo. La conversazione che fluisce mentre si fuma l’oppio è descritta come senza fretta, assolutamente piacevole e libera dalla consueta competizione e tensione che accompagna al contrario uno scambio di idee e pensieri in diversa occasione
Questo stato di rilassamento non preclude il godimento di rapporti amichevoli all’interno del gruppo; in altre parole, le esperienze piacevoli soggettive non sono abbastanza opprimenti da rendere i singoli fumatori disinteressati ai loro compagni.
Marie Nyswander, The Drug Addict as a Patient, Grune & Stratton, New York and London, 1956
g. montefrancesco