Scrivo della mattinata ma anche la notte è stata travagliata. Gli esami potevo ritirarli anche ieri perché sono rientrato in tempo per poterlo fare ma avevo paura. Sono andato in comunità e quando ci vado io sto sempre male. Ieri addirittura ho avuto una improvvisa sensazione di nausea e vomito e son dovuto uscire da quella stanza. Vado a fare visita ad un ragazzo che mi ha sempre fatto tenerezza e pena. Mi sembra sperduto nel mondo e gli faccio tanti complimenti e gli dico senza indugi che è bravo, che è tanto bravo a resistere in una comunità. Gli dico questo perché mi immagino di essere io o i miei figli in quella situazione e mi sembra orribile. Preferisco andare in carcere e avere a che fare con individui, che almeno in quella altrettanto orribile situazione, hanno rubato un pò la vita e viene restituita loro una pena “dignitosa” (metto le virgolette per non essere frainteso). In comunità mi sembrano persone in un limbo di separazione con l’amata o con il desiderio cui devono annullare la spinta, la naturale propensione. Sono come chierichetti condannati alle espiazione per aver amato. Amato l’innominabile. E non c’è per loro un adeguato processo sostitutivo. Mi viene sempre di dirgli: vattene, vattene. Mi fa tanto effetto.
Giuseppe Montefrancesco