Quando alla prevenzione socio-educazionale si predilige la punizione, quando alla legalizzazione si predilige la guerra alla droga, quando ai normali impulsi giovanili e ai fattori di protezione si predilige la sopraffazione e la criminalizzazione, quando si preferisce irrompere con le forze dell’ordine in casa di un ragazzo di 16 anni per un po’ di marijuana come se fosse Escobar, anzichèintermediare con la famiglia e la scuola, allora aspettiamoci la promozione della morte e della malattia, anzichè la promozione della vita e della salute. Un ragazzo che vive nella percezione della paura, anzichè nella percezione della comprensione e della fiducia, non può che alimentare un selfstigma che contribuisce alla naturale provocazione e ribellione, ma anche marginalizzazione e all’isolamento dal mondo degli adulti. Quanto è utile il modello secondo il quale si deve educare provocando la paura a chi paura in fondo già ce l’ha? Il fatto di cronaca accaduto a Lavagna è l’esempio di come spesso per tutelare il giovane, si usi una comunicazione violenta e improntata sulla paura. E se c’è paura le risposte sono prevalentemente due: attacco o fuga. Purtroppo la fuga per questo ragazzo, trovatosi in un’assenza di scelte alternative, per la paura delle dovute conseguenze legali ed esistenziali, in uno stato di totale e apparente impotenza, è stato il suicidio.
A notizie come queste è normale chiedersi chi siano i responsabili? Il ragazzo stesso, l’educazione famigliare, la scuola, la polizia, lo spacciatore, la penalizzazione della marijuana, la società iperemotiva, ecc. Ognuno avrà la propria risposta, secondo il proprio sentire e i propri sistemi di valori, e visione politica, tuttavia come quando ci si scaglia tra opinioni diverse per rafforzare il proprio punto di vista, si rischia di perdere l’aspetto più essenziale della questione e ciò, come permettere che ciò non accada più E cioè, come impedire che un po’ di marijuana in tasca, nella mente di un ragazzo provochi il terrore della punizione e la caduta in un mondo senza speranza, senza via di uscita; dove nulla è rimediabile. Cosa passa nella mente di un 16 enne braccato in casa, che gli occhi di una madre non possono fermare e la presenza dello Stato non possono comprendere? Molto probabilmente ha avuto la percezione di una società degli adulti, inetta, stigmatizzante, sofferente, rigida, punitiva, che non tollera l’atto impulsivo della naturale ricerca delle sensazioni forti (sensation seeking), tipico di un 16enne sano, che necessita di esplorare il mondo per diventare grande. E’ d’obbligo a nostro avviso abbattere lo stigma da parte del mondo adulto che se si usa marijuana si è drogati e criminali.
Lo ripetiamo sempre, la marijuana non provoca morti, ne provocano più l’alcol e la nicotina.
La marijuana provoca morti solo nella illegalità, come appunto accaduto al giovane ragazzo di un piccolo paese di Genova.