Gli editoriali

a cura del prof. Montefrancesco

Il carcere.

Sino a qualche anno addietro questa Unità Operativa non c’era.C’era solo il mio lavoro nei Sert e per motivi professionali le visite al carcere.Nacque nel Sert l’idea di poter raccogliere, in forma scritta e di racconto breve, l’esperienza che i carcerati avevano vissuto con le sostanze illegali visto che la maggior parte di loro era dentro per reati connessi con l’uso e l’abuso di sostanze illegali. In realtà le storie erano già state raccolte e mi furono gentilmente consegnate nella speranza di “farci qualcosa”; un progetto (?).
Conservo due cartelle, una con le lettere che i carcerati immaginavano di inviare a qualcuno dei loro cari, uno con le storie delle loro vite. Erano tutti uomini o giovani uomini. Questi carcerati prendevano posto nell’angustia delle loro celle, tra l’imbarazzato e l’incerto, convinti forse dall’opportunità di fare qualcosa che li portasse fuori dalla solita routine, della serie: “proviamo anche questa tanto qua dentro non c’è molto da fare”, per poi scontrarsi con la fatica di fissare i pensieri e le emozioni sulla carta. Erano testi, brevi e scarni. Spesso pochi pensieri densi di nostalgia per i genitori, i figli o le mogli distanti. Traboccavano di sensi di colpa e desiderio di riscatto. Non era importante che il linguaggio fosse povero e scarno, come può essere quello di chi è poco avvezzo a leggere o a scrivere perchè la vita, prima di entrare in carcere, li teneva occupati in tante e diverse attività non tutte lecite. In queste lettere e in queste storie si sentiva tutta la fatica di provare ad esprimere un sentimento, la fatica nel metterlo a fuoco, con frequenti ricorsi a stereotipi narrativi.

Poche parole e come nelle canzonette ‘cuore fa rima con amore’, e poco più. Ne riportiamo una per intero emblematica per i contenuti espressi:
Cari genitori mi dispiace tantissimo di avervi fatto soffrire in questi ultimi 20 anni, so che voi in qualunque momento mi siete stati accanto, mi avete aiutato e siete le uniche persone che mi hanno dato coraggio e forza nella vita per andare avanti,anche se io non sono mai riuscito ad uscire da questo tunnel della tossicodipendenza so che sarete sempre con me e spero che riuscirà a farmi perdonare e darvi delle soddisfazioni. Uomini che avevano vissuto adolescenze squassanti con perdite e abbandoni, esperienze forti e fuori dal comune e dalla legge, si riducevano a compitare ‘chiedo perdono ai miei genitori’, oppure ‘ voglio cambiare per mio figlio’ e dell’esperienza della droga ci si limitava ad una semplice dichiarazione di uso o abuso accompagnata dalla blanda promessa di non farlo più. A tutti loro è dovuto un sentito ringraziamento. Quelle storie e quelle lettere hanno ispirato uno dei nostri progetti più importanti: l’inventario del patrimonio linguistico che ruota attorno alle esperienze di uso di sostanze legali o illegali che possono indurre dipendenza patologica.Quelle storie e quelle lettere sono l’ embrione di tutte le storie che abbiamo poi deciso di pubblicare nel sito.  Senza quella loro fatica, senza quella loro generosità, forse non saremmo pervenuti alla convinzione che tutta l’esperienza di uso o abuso di sostanze è ad oggi particolarmente povera di parole, parole indispensabili per essere detta, elaborata, affrontata e perchè no? prevenuta.
Perchè poi, nella realtà dei fatti e dalla elaborazione dei nostri dati, a parlare male del fenomeno delle droghe sono tutti:carcerati, guardie, operatori sanitari e non, pazienti tossicodipendenti, parenti, giovani, adulti ed anziani; maschi e donne.