13 ott 2018 Circa 50.000 anni fa (tra i 47.000 ed i 65.000 anni fa), quando gli antenati degli esseri umani moderni (homo sapiens) emigrarono dall’Africa in Eurasia, incontrarono i Neanderthal che avevano occupato quei luoghi alcune decine di migliaia di anni prima. Questo incontro, a quanto pare, fu anche sessuale, con accoppiamenti che devono essere avvenuti, probabilmente, nell’attuale medio oriente, anche più tardi ed in più riprese, e con risultati riproduttivi. La prova di questo si è avuta perché circa l’1.5–4% del genoma dei moderni europei ed asiatici è costituito da DNA ereditato dai nostri cugini Neanderthal, mentre i discendenti di coloro che sono rimasti nell’Africa sub-sahariana non hanno DNA di Neanderthal. Questa percentuale di DNA Neanderthal sembra influenzare il metabolismo lipidico, il colore dei capelli e della pelle, la capacità di abbronzarsi o di scottarsi al sole, il sonno, l’umore ed alcuni rischi di malattia, sulla base della particolare concentrazione di varianti Neanderthal nelle regioni del genoma relative a questi caratteri. L’apporto genetico Neanderthal riguarda il nostro sistema immunitario e come rispondiamo alle diverse sfide immunitarie o caratteristiche della nostra pelle, per cui siamo leggermente più inclini a sviluppare lesioni squamose (cheratosi) dopo prolungata esposizione al sole. Sembra possa aver comportato una più veloce coagulazione del sangue e sembra avere effetto sulla suscettibilità alla depressione. Il rischio di depressione nelle popolazioni umane moderne è influenzato dall’esposizione alla luce solare (che differisce anche in base alle alte o basse latitudini) ed è stato caratterizzato un arricchimento di geni che regolano i ritmi circadiani vicino agli alleli di Neanderthal che possono influenzarne l’espressione: si ritiene che circa l’1-2% del rischio per depressione sia da attribuire al DNA di Neanderthal. Tra i regali che i Neanderthal sembra ci abbiano fatto, rilievo apparentemente assai strano, ci sarebbe anche una maggiore suscettibilità alla dipendenza da tabacco. Il DNA di Neanderthal, infatti, sembra contenere loci che comportano una maggiore dipendenza alla nicotina, ad esempio, uno SNP in un introne del gene SLC6A11 (un trasportatore di neurotrasmettitori della famiglia dei trasportatori di soluti, responsabile della ricaptazione del neurotrasmettitore GABA) . I Neandertal ovviamente non fumavano, perché non c’erano piante di tabacco nell’Europa arcaica (che vennero introdotte in Europa circa 400 anni fa): probabilmente si tratta di un effetto crociato, un generico rischio di dipendenza che associa ad interruttori che attivano o disattivano geni con funzioni diverse e che, tra le altre funzioni, si trovano ad interrelare anche con l’assunzione di sostanze modulando attività. Probabilmente il contributo genetico Neanderthal si è complessivamente rivelato vantaggioso e per questo si è mantenuto nel tempo aiutando i nostri antenati a sopravvivere nell’Europa preistorica. Infatti, quando i sapiens migrarono in Eurasia incontrarono, ad esempio, condizioni ambientali differenti ed agenti patogeni sconosciuti per i quali non avevano elaborato difese: l’accoppiamento con i Neanderthal probabilmente permise alla prole di acquisire la necessarie difese immunitarie ed una maggiore adattabilità. Come detto da John Capra ”Forse, passare una o due notti con un/una Neanderthal è stato un prezzo basso da pagare per ottenere in cambio migliaia di anni di adattamenti” . Nel mondo moderno, tuttavia, alcune di questa caratteristiche, possono non essersi rivelate altrettanto positive ed implicare invece un maggior rischio. Una ipercoagulabilità del sangue aiuta a chiudere più rapidamente le ferite, rappresentando un carattere vantaggioso in ambienti estremi che, però, può rivelarsi fonte di complicanze ischemiche e rischio di tromboembolismo in corso di gravidanza ai nostri giorni. Quanto può esserci stato di vantaggio nel passato, e che per questo la selezione ha conservato, non è detto necessariamente che lo sia anche quando le condizioni ambientali siano sostanzialmente cambiate. In effetti, ci sono prove che in altre regioni genomiche, i nostri progenitori si siano via via “liberati” di apporti genetici Neanderthal che la selezione ha nel tempo trovato svantaggiosi. Quel che appare sempre più chiaro dagli studi di genetica applicati alla paleoantropologia è che sul nostro pianeta, decine di migliaia di anni fa, l’albero Homo era pieno di rami: i Sapiens, i Neanderthal, i Denisova, i Floresiensis e chissà quanti altri, evolvevano, si estinguevano, si incrociavano variamente. Gli stessi Neanderthal, che si sono estinti circa 35.000 anni fa, non lo sono del tutto perché in parte sopravvivono in noi. Qualche autore si è spinto a dire che forse non si sono estinti per guerre o brutale competizione (ipotesi in ogni caso da non escludere conoscendo la nostra razzaccia!) ma per amore…. Noi siamo il prodotto di una storia affascinante e complicata di cui appena da poco abbiamo cominciato a leggere le prime pagine…con una sigaretta tra le dita. Alfredo Orrico – Genetista Fonti bibliografiche Sankararaman S, et al. The genomic landscape of Neanderthal ancestry in present-day humans. Nature. 2014;507:354–357. Simonti CN, et al. The phenotypic legacy of admixture between modern humans and Neandertals. Science. 2016; 351(6274):737-41. Dannemann M, Kelso J, “The contribution of Neanderthals to phenotypic variation in modern humans,” Am J Hum Genet, 2017; 101:1-12,.