Ristoranti e pizzerie straripano di gente che apprezza di stare a tavola. Soprattutto la sera. Ci sono cene ordinarie, cene aziendali, cene romantiche e cene tristi; non solo, si fanno cene con i colleghi di lavoro, si, ma anche con i compagni di palestra, o con gli amici o con le associazioni di volontariato.
Ci sono le cene con i parenti. Si mangia con tanta gente, con un mare di gente perchè attualmente, a tenere vera compagnia è il cellulare.
Un breve pensiero sull’accoppiata cibo e smartphone.
Da qualche anno siamo tutti diventati esperti buongustai inondati come siamo da programmi e canali tv dedicati alla cucina. Tutti sui social-network postano immagini di ciò che abbiamo nel piatto e condividono i bisogni della propria gola. Si celebra il desiderio di cibo, il piacere del palato, gustando sapori che devono essere appaganti, stupefacenti e chi più ne ha più ne metta. Ci si dimentica del peccato di gola. Si, perchè non ci accontentiamo di gustare, vogliamo ampliare la condivisione oltre i presenti; e allora tutti lì, a fotografare e postare su facebook quello che si ha nel piatto. Tutti a tavola con gli smartphone! Molti adulti trovano questa consuetudine disdicevole, mentre i giovani tra i 18 e 29 anni non se la prendono se qualcuno usa il cellulare a tavola.
Papa Francesco lo scorso mese sosteneva che la tv e gli smartphone a tavola distruggono la convivialità: sciupano la capacità di raccontare e di ascoltare, in quella sorta di indifferenza ai presenti, a chi spezza il pane con noi. Personalmente non mi scandalizza l’uso dello smartphone a tavola. Postare un bel piatto è come ringraziare chi lo ha impiattato facendogli pubblicità e rendendogli omaggio anche con chi non è presente. Poi si conteranno i like. Chi non raccoglie like non ha fatto un bel piatto. Chi non è stato fotografato ha fatto un piatto scadente? Forse no, eravamo troppo occupati a gustarlo per perdere tempo a fotografarlo. Come ci ha ricordato Expo, il cibo è cultura. Tutti siamo ormai multietnici, globalizzati e contaminati anche se può persistere una forma di affezione al ragù della domenica dalla zia. Allora anche quella semplice ma sapiente pasta al ragù può essere postata su FB.
Quello che resta è che si spende tanto per mangiare in eccesso e poi si spende tanto per riparare i danni all’organismo che questo eccesso comporta. Lo smartphone può essere usato per celebrare quello che ci si appresta a mangiare e che qualcuno ha preparato per noi, ma può essere anche il diversivo in cui fare scomparire lo sguardo ai presenti, per sfuggire una conversazione che si ritiene poco interessante o per nascondere l’imbarazzo di non avere niente da dire a proposito dell’argomento in corso o perchè un dolore interiore è troppo intenso e raggela ogni tentativo di comunicazione.
Controllare compulsivamente lo smartphone è un modo poco elegante per distogliersi da un silenzio imbarazzante. Una via di fuga, insomma, fuga dal presente e dai presenti, con i quali siamo comunque usciti a cena, in fuga dalla solitudine e da una vita che spesso ha smarrito il suo senso più profondo: la capacità di stare con gli altri per condividere anche il piatto più semplice, come fanno gli innamorati, ai quali basta anche solo una pasta burro e parmigiano, consumata in discrezione, senza nessuna necessità di postarlo su fb, felici perchè bastano a se stessi e hanno tanto da dirsi con le parole e con i silenzi.