L’ibogaina (12-metossi-ibogaina) è una sostanza psicoattiva – alcaloide indolico monoterpenico- presente in numerosi vegetali, principalmente nell’iboga (Tabernanthe iboga) un arbusto della foresta pluviale, originario dell’Africa centro-occidentale.
Le radici di questo arbusto contengono 12 alcaloidi tra cui l’ibogaina, la tabernantina, l’ibogamina e la coronaridina.
E’ un allucinogeno ma la sua azione è anche in dipendenza della dose.
In Italia questo alcaloide è stata inserito nella lista delle sostanze stupefacenti e psicotrope dall’agosto 2016; è comunque illegale in molte altre nazioni.
La Nuova Zelanda, il Brasile e il Sudafrica classificano al contrario l’ibogaina come una sostanza farmaceutica e ne limitano l’uso solo ai medici autorizzati.
L’bogaina è stata utilizzata dagli sportivi come forma di doping e durante la 1a guerra mondiale per aumentare la resistenza dei militari (tavolette di Lambarénè).
Nei primi anni ’60 è stato casualmente scoperto che la somministrazione della molecola può determinare l’interruzione della dipendenza da eroina, senza crisi d’astinenza tanto che oggi è usata in diversi paesi per trattare la dipendenza da questo oppiaceo o da altre droghe come l’alcol, cocaina, crack e metamfetamine.
L’uso medico ha avuto comunque giudizi disaccordi ed è stato qualificato come sottocultura medica.
L’ibogaina ha la particolarità di avere:
a dosi basse, un’azione stimolante il sistema nervoso centrale
a dosi elevate, ha proprietà allucinogene.
Il meccanismo d’azione dell’ibogaina è apparentemente nuovo e non ben chiarito; la sua azione clinica, nei confronti degli oppiacei, è in un certo senso inspiegabile dalle sole interazioni recettoriali conosciute. (6,36,37). Questa piccola molecola può essere così considerata un interessante prototipo per lo studio neurobiologico e la scoperta di altri farmaci.
L’ibogaina, la noribogaina (il suo principale metabolita) e il 18-MC:
— non agiscono come agonisti del recettore mu degli oppioidi
— hanno una bassa affinità verso tale recettore
— non attivano le proteine G e quindi la cascata di reazioni successive.
I principali effetti collaterali della sostanza sono le aritmie cardiache (prolungamento tratto Q-T), la degenerazione delle cellule cerebellari del Purkinje (neuroni che controllano la funzione motoria) e la neurotossicità in genere.
Attualmente gli effetti collaterali dell’ibogaina paiono superati dall’uso di alcuni derivati come il 18-MC (18-metossi-coronaridina) e la nor-ibogaina.
La nor-ibogaina si forma spontaneamente nell’organismo e secondo alcune ricerche essa è in grado di modificare, modulare l’attività di diverse vie neurali, compresa quella dopaminergica, della serotonina e dell’acetilcolina. In particolare pare ostacolare l’attività della dopamina inibendone direttamente il rilascio dalla VTA; allo stesso tempo però modifica la serotonina e l’acetilcolina che rallentano ed inibiscono l’azione della dopamina.
Inoltre la noribogaina (57,58) ha un’emivita più lunga rispetto al composto genitore e questo può forse giustificare la persistenza dei suoi effetti.
Thomas Kingsley Brown & Kenneth Alper, Treatment of opioid use disorder with ibogaine: detoxification and drug use outcomes, The American Journal of Drug and Alcohol Abuse, 2017
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