Attualmente, malgrado la diffusione del fenomeno e l’attenzione ad esso rivolta, non è stato ancora riconosciuto un trattamento elettivo per i giocatori patologici. Tra questi sono meno del 10% (Cunnigham, 2005) le persone che cercano una cura per il proprio disturbo. Spesso i giocatori ritengono di poter farcela da soli o negano a se stessi di essere vittime del gioco oppure si vergognano per il loro comportamento.
Come per altre dipendenze comportamentali, il percorso di cura richiede l’apporto della psicologia e della farmacoterapia.
La terapia psicologica più utilizzata è quella cognitivo comportamentale (TCC).
La TCC è volta a modificare il comportamento dannoso di gioco e i pensieri disfunzionali ad esso legati. La ristrutturazione cognitiva è il processo tramite il quale questi pensieri distorti vengono valutati, cambiati e sostituiti con altri funzionali al benessere della persona. Le credenze disfunzionali tipiche del giocatore sono: la sovrastima della probabilità di vincita, il pensiero irrealistico di essere in grado di smettere di giocare quando si vuole, l’idea che alla perdita sussegue sempre una vincita (la fallacia del giocatore). Durante il percorso terapeutico il paziente impara a gestire l’impulso a giocare, affrontando le emozioni negative piuttosto che evitandole tramite il gioco. Inoltre viene pianificata la risoluzione dei problemi finanziari, lavorativi e relazionali conseguenti alla dipendenza. Il trattamento può coinvolgere anche la famiglia del giocatore nel sostenere e supportare il cammino verso la guarigione.
Dalla meta analisi che ha preso in esame studi in cui i pazienti erano stati sottoposti a TCC, emerge che il trattamento ha avuto successo nella maggior parte dei casi indipendentemente che la terapia fosse individuale o di gruppo (Pallesen et al., 2005). Un approccio molto importante, spesso associato alla TCC, è quello motivazionale. Dalla letteratura emerge che la combinazione di queste due metodologie di trattamento aumenta l’efficacia della TCC.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica va segnalato che nessuno tipo di farmaco è specificatamente indicato per il gioco d’azzardo patologico, né tantomeno è chiaro se vi sono maggiori benefici con la terapia farmacologica rispetto a quella psicologica o la combinazione di entrambe. D’altra parte, come in altre analoghe situazioni, la copresenza di eventuali disturbi mentali, uso di sostanze ed effetti propri del gioco d’azzardo rendono, almeno attualmente, assai ardua la definizione di un trattamento specifico.
Grant e colleghi (2006; 2010) hanno dimostrato che il naltrexone e il nalmefene, due antagonisti degli oppioidi, riducono l’intensità dell’impulso a giocare, la persistenza dei pensieri legati al gioco e il comportamento compulsivo di gioco, perché i due antagonisti modulano la trasmissione della dopamina. In pratica diminuendo l’attività dopaminergica riducono gli effettivi gratificanti (il piacere) e quindi la ragione di giocare. Entrambi questi farmaci sono apparsi di una certa efficacia e promettenti. L’impulsività al gioco è maggiormente ridotta da questi farmaci nel caso di soggetti con una storia familiare di dipendenza da alcol (Kim et al., 2001); questo è chiaro considerato che già i due farmaci hanno uso nel caso dell’alcolismo oltre che nella dipendenza da oppiacei.
Sono stati altresì sperimentati antipsicotici (olanzapina) o antidepressivi come il bupropion, sertralina, fluvoxamina, paroxetina. Questi ultimi due hanno mostrato maggiore efficacia rispetto al placebo.
Anche gli stabilizzatori dell’umore (acido valproico – Depakin, carbamazepina – Tegretol) hanno trovato utilizzo nel trattamento del gioco d’azzardo. L’acido valproico ha mostrato di essere efficace nel controllare il comportamento impulsivo di gioco.
L’N-acetilcisteina (che di norma si assume nelle affezioni respiratorie per fluidificare le secrezioni bronchiali) è stata somministrata non solo in pazienti affetti da dipendenza da gioco d’azzardo ma anche da cocaina. Esso appare migliorare lo stato di urgenza e il comportamento in tutte e due i casi perché stabilizza il tono glutammatergico nel nucleo accumbens e a ciò segue una riduzione del comportamento di ricerca.
Il modafinil, farmaco stimolante utile nella narcolessia, ha mostrato la capacità di modulare l’impulsività e la tendenza a prendere decisioni rischiose, soprattutto in soggetti ad elevata risposta impulsiva.