Diagnostica dell’epatite da virus C
Capita di frequente che soggetti che risultino “anti Hcv positivi” pongano al medico specialista la domanda se debbano considerarsi affetti da epatite ed assieme contagiosi. Data la rilevanza dell’argomento e la frequenza di questo riscontro appare opportuno fare delle precisazioni in proposito.
Il test cosiddetto “anti Hcv” si basa sulla possibilità di mettere in evidenza gli anticorpi sviluppatisi in risposta alla presenza del virus nel sangue del soggetto esaminato. Questi anticorpi però, che compaiono solitamente circa due mesi dopo l’avvenuta infezione, possono persistere a lungo, anche degli anni, anche dopo l’avvenuta guarigione. Pertanto un “test anti Hcv” negativo, a meno che non si tratti di un’infezione del tutto recente, prima che si siano potuti formare gli anticorpi, esclude che il soggetto sia venuto in contatto con il virus dell’epatite.
Ben diverso è il discorso in presenza di un test positivo. Proprio per il fatto che gli anticorpi possono persistere a lungo, la positività non consente di discernere tra una infezione in atto o una infezione avvenuta in precedenza, in un tempo più o meno lontano, e magari già guarita. L’ “anti Hcv positivo” dice solo che il soggetto ha avuto un contatto con il virus.
Per valutare la situazione attuale è pertanto necessario ricorrere ad un altro accertamento: la cosiddetta Pcr dell’Hcv.
La Pcr si basa sulla possibilità di mettere direttamente in evidenza la presenza del virus nel sangue circolante.
La Pcr viene eseguita con due diverse modalità:
-la Pcr quantitativa che misura la quantità di virus presente nel sangue e
-la Pcr qualitativa che indica se il virus è presente o no nel sangue.
Una Pcr negativa esclude, con buona attendibilità, che in quel momento ci sia presenza di virus nel sangue; al contrario una Pcr positiva documenta le presenza del virus nel sangue e la Pcr quantitativa consente anche di quantificarne l’entità. Mentre la persistente positività della Pcr consente di porre la diagnosi di infezione, la diagnosi di malattia si basa sul riscontro di una persistente, anche se talvolta modesta, alterazione del valore delle transaminasi. Il virus dell’epatite si moltiplica all’interno della cellula epatica determinandone un danno anatomico e funzionale, e quindi la malattia epatica, e questo danno è appunto evidenziato dall’aumento delle transaminasi.
La diagnosi di malattia si basa, quindi, oltre che sul quadro clinico, sulla presenza di alterazioni persistenti delle transaminasi e della persistente positività della Pcr.
In merito alla possibile contagiosità evidente che il soggetto, nel quale la presenza del virus nel sangue circolante non è determinabile, non dovrebbe risultare contagiante, non esistendo per il virus dell’epatite C altri “siti” di riserva al di fuori del fegato e dei linfonodi. Il soggetto invece con Pcr positiva presenta il virus nel sangue circolante e pertanto può risultare contagiante attraverso tutte quelle manovre, anche apparentemente di scarso significato, che determinano uno scambio di sangue, anche se in maniera inapparente.
1) Hcv negativo = a) Infezione recentissima b) Non contatto con il virus
2) Hcv positivo = a) Infezione in atto b) Infezione pregressa
3) Hcv positivo + Pcr positiva= a) Contagiosità
4) Hcv positivo + Pcr negativa = b) Non contagiosità
Prof. Luigi Pippi, infettivologo