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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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Fumare cannabis in gravidanza

Il motivo principale per cui l’uomo ha da sempre utilizzato droghe è che queste consentono un piacere ed un benessere non ordinari.
Ciò può causare uno stato di dipendenza patologica soprattutto se le sostanze, nel tempo, vengono ripetutamente usate.
A soffrire di questa condizione è l’intero organismo sia nella sua porzione fisica che psicologica.

Che cosa può accadere allora ad un neonato se la madre durante la gravidanza ha fumato marijuana ? Considerate che, attualmente, vi è una aumentata disponibilità di cannabis e spesso vi un diffuso giudizio di innocuità perché naturale.
Una donna su 5, negli stati Uniti, durante la gravidanza pare faccia uso di cannabis, per porre rimedio ad es. alla nausea che sopravviene spesso durante la gravidanza o genericamente perché “fa piacere” o perché ha un effetto sedativo, rilassante.
Ma il THC (Δ9-tetraidrocannabinolo, principale componente psicoattivo della pianta) attraversa facilmente la placenta e un terzo del contenuto plasmatico raggiunge il feto.

Molti studi riportano che tale esposizione prenatale alla cannabis (in sostanza ad una concentrazione di dopamina molto elevata) predisporrebbe la prole, nelle successive fasi di sviluppo, a vari disturbi neuropsichiatrici legati al fatto che la prole può aver “sperimentato” gli effetti di una funzione dopaminergica anomala ed eccessiva.
Se pure la conoscenza di come la cannabis influenzi la maturazione del sistema del sistema dopaminergico è comunque limitata, uno studio condotto negli USA su animali (ratti) – i feti venivano esposti a una dose moderatamente bassa di THC che potrebbe essere equivalente ad 1 o 2 canne al giorno da parte delle madri- mostra che la prole presenta notevoli cambiamenti nei neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale (VTA) del mesencefalo.
E’ da quest’area, che i neuroni dopaminergici si estendono profondamente nel cervello, in particolare verso i nuclei della base, il sistema limbico e la corteccia prefrontale. Tutte queste zone cerebrali sono precisamente il bersaglio di interesse delle sostanze d’abuso la cui finalità principale è quella di aumentare abnormemente la concentrazione ovvero la disponibilità di dopamina per ricavarne il piacere e il benessere desiderati.

Se la madre fuma cannabis consegue nel feto uno stato iper-dopaminergico (una condizione di aumentata disponibilità di dopamina ) che causerebbe un riadattamento del cervello fetale e poi una maggiore sensibilità comportamentale, quindi una maggiore risposta all’eventuale esposizione acuta alla cannabis ovvero al THC.
Questo comporterebbe una aumentata fragilità dell’individuo verso gli effetti della cannabis ma evidentemente non solo.
Questa condizione predisporrebbe verso uno stato di alterato desiderio, verso una maggiore reattività neuronale agli stimoli associati alle ricompense, come l’eventuale disponibilità di cibo o di farmaci oppioidi; perciò, ad un aumentato rischio di dipendenza da oppiacei.
I ricercatori hanno infatti osservato che solo gli animali esposti al THC presentavano tale fragilità in età adulta, a differenza di quelli non esposti alla cannabis.

Se tutto ciò avviene come nella ricerca, immaginiamo cosa può causare l’assunzione di altre droghe le cui azioni sulla dopamina sono notevolissimamente superiori a quelli della cannabis; eroina, cocaina, amfetamine.
Nello studio, l’impiego del pregnenolone (uno steroide) pare normalizzare l’attività dopaminergica e il comportamento della prole, suggerendo così un approccio terapeutico per la prole esposta alla cannabis durante la gravidanza.

Infine, la ricerca dimostra che la maggiore propensione a cercare eccessivamente ricompense alimentari e/o farmacologiche interessi soprattutto i soggetti maschi che così hanno un rischio maggiore di vulnerabilità, simile alla dipendenza, rispetto alle controparti femminili.

g. montefrancesco

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