DSM V, slitta al 2013 la pubblicazione
La bibbia della psichiatria contemporanea è internazionalmente riconosciuta nella pubblicazione denominata Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (noto come DSM) attualmente alla IV edizione. Questo testo, realizzato dall’American Psychiatric Association (APA) – composta principalmente da psichiatri o neuroscienziati statunitensi – è da sempre oggetto di discussione più o meno approfondita su aspetti fondamentali della scienza come appunto le “definizioni” e i “termini”.
Come riportato da New Scientist, l’APA ha annunciato che l’uscita della nuova edizione del manuale diagnostico (l’ultima risale al 1994), prevista fino a qualche mese fa per il 2011,slitterà al 2013. La motivazione di questo “ritardo” è attribuita, dall’autore dell’editoriale Psychiatry’s Civil War (trad. La Guerra Civile della psichiatria)Peter Aldous,alla presenza di numerose e radicali critiche inerenti le novità che i redattori avevano convenuto di inserire. Tra i principali obiettori del “Nuovo Testamento Psichiatrico” ci sono proprio alcuni degli autori delle passate edizioni (DSM III, 1980, e DSM IV, 1994) quali Robert Spitzer e Allen Frances. Aldous ci rivela come questi ultimi, oggi in pensione, abbiano scritto nel luglio 2009 addirittura una pesante lettera di protesta alla APA, denunciandola di pianificare cambiamenti non confermati da corrette e replicabili ricerche scientifiche. Allen Frances aggiunse inoltre nell’editoriale successivo su Psychiatric Time che molti degli autori – redattori della nuova edizione erano semplici ricercatori universitari – di cui molti statistici? (ndr) – completamente “cut off” (trad. “tagliati fuori”) dalla clinica e quindi da qualsiasi rapporto con i pazienti.
Ma qual è il cuore reale del contendere? L’editoriale del New Scientist riporta come la madre di tutte le critiche cui è sottoposta questa nuova stesura si rifà alla questione del rapporto tra i redattori e le case farmaceutiche. Pare infatti che molte delle novità inserite, quasi tutte protese all’estensione del concetto di patologia a comportamenti finora estranei all’intervento medico e quindi farmacologico, porterebbero almeno altri dieci milioni di individui a trovarsi nella necessità, prescritta, di curarsi con “legal drugs” (droghe legali).
A onor del vero va detto che già la metà degli psichiatri che parteciparono alla stesura del DSM IV – praticamente l’intero gruppo che curò la sezione sui disturbi dell’umore e le psicosi, ha avuto rapporti economici (tra il 1989 e il 2004, con ruoli di ricercatore o consulente) con società farmaceutiche. Difatti negli anni successivi alla pubblicazione del nuovo testamento psichiatrico si ebbe un’incredibile impennata dei consumi di prescription drugs (principalmente psicofarmaci), come nel caso celebre del Ritalin,”analogo delle amfetamine,”dato a milioni di bambini negli Stati Uniti poichè ritenuto la cura per la nuova “sindrome da deficit di attenzione e iperattività“.
Tra le novità più controverse del DSM V c’è ad esempio il Bereavement (“lutto”) per il quale si appresta a diagnostica la “sindrome di dolore prolungato” cui dovrebbe seguire una tempestiva cura antidepressiva (per ora) o terapie futuribili (e per certi versi “futuristiche”) come l’asportazione della memoria dell’evento funereo.
Diciamo che mentre i giornali italiani si preoccupano del “miracolo” di un Presidente del Consiglio settantatrenne che dopo aver ricevuto novanta giorni di prognosi si presenta, a diciotto giorni dall'”attentato”, senza i segni del martirio, la partita su cos’è la normalità e fin dove porteremo la follia istituzionalizzata della normalizzazione si gioca altrove e tra pochi.
Del resto i Nazisti si riferivano alla “soluzione finale”, ovvero allo sterminio fisico degli ebrei, come ad una”questione medica”.
Fonti:
Peter Aldous, 12 dicembre 2009, New Scientist n 2738
Hannah Arendt (1964), La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano