Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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LSD; una storia.

Avevo 14 anni. La campanella suonò nell’attimo stesso in cui la mia professoressa di storia volle farmi una domanda, “la rivoluzione Industriale” . La mia prof si illuse che nonostante fosse finita la giornata scolastica io le rispondessi, ma non lo feci, mi misi lo zaino in spalla e uscii. Dopo pochi metri attraversai la grande porta d’ingresso e venni inondato dalla luce del sole. Aumentai il passo e fra un ronzio di motorini e le chiacchiere dei ragazzi entusiasti dall’avvicinarsi week-end, mi diressi svelto verso il parco. Il parco dove mi trovavo era incantevole per il silenzio e la pace che potevi trarci, c’era una fontana piccola e qualche panchina. Si trovava in periferia. Stavo aspettando un mio amico, l’avevo incontrato una volta ad una festa, era più grande di me, era maggiorenne. Era il mio amico spaccino, mi procurava l’erba a prezzi anche convenienti . Però quel giorno avevo in mente di provare qualcosa di più forte. Desideravo fondere tutti e cinque i sensi, e arrivare a scoprire il sesto, o il settimo, o l’ottavo. Stavo sognando ad occhi aperti. Mi svegliò lui arrivando. Era messo piuttosto male, trasandato, le occhiaie risaltavano scure nel viso segnato dalla stanchezza. I capelli arruffati e sudici che gli coprivano gli occhi. Mi disse :” Ho fatto i salti mortali per procuratela, avrei voluto fartela provare questa sera ma dovrai aspettare. Sono troppo stanco e potrei rimanerci sotto male. “Non preoccuparti ci vediamo domani pomeriggio verso le cinque” Lui ricambiò il sorriso, si mise una mano in tasca e frugò fino a che non prese una bustina trasparente con dentro due cartoncini.
Parevano francobolli.
Sorrisi emozionato. -Cazzo ora mi faccio anche di psichedelici- pensai infuriato con me stesso. Me li misi svelto in tasca guardandomi intorno. Quando la gente vedeva questi scambi o di soldi o di pacchetti, tutti pensavano male o probabilmente facevano bene. Erano così belli, arancioni, brillavano -Sono così piccoli e innocui – pensai. A casa nascosi i cartoncini in un vecchio libro, “Essere uomo”, di uno scrittore di cui nemmeno sapevo pronunciare il nome. -Non resisto!- urlai dentro me stesso. Preso dalla voglia di provare l’acido chiamai il mio amico – Vediamoci subito, non riesco ad aspettare fino alle cinque.-  Che è tutta questa fretta? Vediamoci, ma non al parco. Tu lo conosci un posto?. Un posto lo conoscevo. Era il giardino di un vecchio casolare abbandonato. Gli diedi le indicazioni per arrivarci e lo salutai. Per arrivare nel giardino presi il mio scooter, quei piccoli cartoncini nella mia tasca pulsavano ansiosi.
Il casolare si trovava in campagna, non c’era nessuna porta. I vandali lo avevano visitato parecchie volte, i graffiti ricoprivano le sue vecchie e decadenti mura. L’erba si infiltrava in ogni angolo di esso, le finestre erano rotte e i vetri sparsi dappertutto. Non era il massimo, anzi faceva abbastanza schifo come posto, ma per me era familiare, infatti avevo letto su internet che era meglio provare l’Lsd in luoghi confortevoli e conosciuti, questo era perfino più conosciuto di casa mia. Il mio amico arrivò con la macchina- Un posto meno selvaggio no, eh?- mi domandò ridacchiando. Io risi e lo feci accomodare a sedere su quelle sedie arrugginite. -Sei pronto?- Non mi degnai di rispondere, ma sorridendo tirai fuori i cartoni arancioni.
Ne misi uno in bocca e lui fece lo stesso.
L’effetto arrivò velocemente, e non riconobbi più la distinzione fra secondi e ore.
Abbassai lo sguardo, i sottili fili d’erba erano più vivi delle altre volte, si spostavano ciascuno in modo diverso e in direzione diversa dal solito, mi ipnotizzavano con il loro danzare paranormale, mi soffermai per un bel po’ a guardarli tenendoli come unico punto di vista, anche il loro colore era diverso, cangiante e ambiguo. Avevo bisogno di essere protetto, mi sentivo piccolo e nudo, come un bimbo che comincia a conoscere il suo mondo, io dovevo conoscere il mio di mondo, tutto era diverso, immenso. -Mi piace- mormorai esaltato al mio amico: l’eco della mia voce si sparse, vidi dove si dirigeva. Tutto era diverso dal solito. Mi piaceva così tanto! Sudavo dal piacere. Entrai nel casolare. Trovai una posizione comoda, come un bimbo nella pancia della mamma.
-Il trip è cominciato sul serio- pensai inquieto.
L’ultima cosa che ricordavo era quel cielo così immenso e bello, che si muoveva come se mi stesse crollando addosso, come un’onda enorme che mi schiacciava soffocandomi di immensa bellezza. Alzai una mano sul petto, il mio cuore non batteva. Come sarei potuto esser vivo allora? Forse ero morto, e quella stanza era l’entrata di chissà quale inferno. Le ore, o i secondi che passarono, mi fecero arrivare sempre più vicino a quella porta. Non c’erano maniglie in quella porta quindi afferrai il lato di essa e l’aprii con tutta la forza che mi rimaneva. La luce per quella volta non mi accecò; come se mi riconoscesse, come se riconoscesse il vero me, mi aveva riaccolto.