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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Eroina e indicibili cose – Editoriale

Volevo scrivere di questo da tanto tempo ma mi è sempre stato difficile porre mano a quanto voglio trattare.
Lo farò adesso con passione e quasi senza controllo, con la consapevolezza che potrei ancora una volta o non saper dire o non saper spiegare.
Spero comunque di riuscire a farlo brevemente.
Volevo dire del mio lavoro, delle cose su cui rifletto e di cui ho parlato tante volte.
Io non avrei mai capito delle emozioni se non avessi studiato le droghe.
Con queste si va verso il basso, si intravede il profondo e laggiù si va in apnea perché è un lusso il respiro. Laggiù l’anima si fa intra-vedere ed è come una casa senza pareti dove penso i sentimenti nascano in massa e le emozioni siano tinte di diverso colore.
Sono “cose” senza confini, senza contorni, senza carne. Si sentono nella incapacità di tenerle ferme, nella voglia a volte incontenibile e assoluta di soddisfarle. Piacevolissimamente.
Ci sono voluti gli anni per parlare con loro e disporle entro naturalità senza peccato. Ora mi pare di poter ragionare del desiderio che non ci abbandona mai, che non sappiamo da dove viene; che ci spinge; che a volte ci insulta e ci indebolisce.
La casa delle emozioni credo sia potentemente anarchica, come quella di tutti, nella completa disposizione a tradire ma senza peccato.
Naturalmente, ma senza peccato. Questo ho capito dopo aver annusato, studiando, l’essenza delle sostanze e la loro potente malia.

La prima volta che ho visto da “vicino” un mio paziente risale a tanti anni fa ed allora ebbi una forte impressione. Mi impressionò il suo viso.
In verità io non guardavo il viso nel suo tondo, nel suo ovale pieno; sfumavo la parte centrale, gli occhi, le labbra e mi disponevo sul profilo perché così non c’era.
Così facendo, intendevo difendere e allontanare me stesso e la mia funzione di medico dalla minaccia che proveniva da quell’uomo ovvero da una sfacciata e potente indecenza che consentiva a lui di separarsi dalle cose di sempre e di tutti.
Con gusto e tanto piacere.
Lui cantava e si muoveva come fuori di se, cioè faceva vedere il godimento e il piacere. Lo esponeva. La sua faccia era arrossata, le orecchie avvampate di un caldo un po’ sconcio. Rideva e non aveva riguardi. La sua era pura voluttà, puro appagamento, assoluto abbandono ad un dio ad altri nascosto.

Quindi, forse, non era normale? Forse quell’eroina offriva indicibili “cose”?
Ebbi spavento e ho spesso pensato ai suoi modi da “fatto” anche quando poi lo vedevo e parlavo con lui, “normale”.
Gli dò sempre la mano. Gli dò riverenza perché lui mi ha fatto capire.
Cerco ancora tra le rughe di quel paziente oramai uomo, con anni che non so se dire sbagliati, se fa ancora lo stesso. Era la prima volta che osservavo un sentire così voluttuoso mostrato all’esterno, ad altre persone, senza vergogna.
Pensavo che lui avesse fatto un qualche peccato. Terribile, orribile e senza confini.
Ma dove e perché ?
Io ho sempre studiato i fatti che stavano nelle vicende dei miei casi in una associazione di concetti che dovevano essere spiegati a me stesso e a colui che si ammalava e che c’era una ragione per questo. Quindi seguivo i nodi di questa lunghissima logica.
Poi avrei capito. E così ho sempre fatto e sempre sopravveniva la ragione delle vicende.
Quella volta e tante altre volte però non avevo compreso che c’era qualcosa di più.

g.montefrancesco