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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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Sono un insegnante di matematica; quando avevo 17 anni…

Sono un ragazzo di 36 anni. Quando avevo circa 17 anni, tra i miei coetanei era comune fare uso di sostanze inalanti come anestesoli, benzina, trielina.
Quest’ultimo caso era tanto frequente che si erano formati dei veri e propri gruppi denominati “trielinati”.
Non ho mai provato tale sostanza, ma potevo constatarne gli effetti in coloro che ne usufruivano: alternanza di stati di euforia ad altri di completo abbandono, disinibizione verso l’altro sesso. (La trielina o tricloroetilene è un solvente, usato come smacchiatore; gli anestesoli sono gli antidolorifici spray, spesso usati per la risoluzione di piccoli traumi nello sport; la benzina è il combustibile di cui si inalano le sostanze volatili….) Altra usanza comune era farsi sigarette mischiando tabacco e pepe nero o peperoncino con la risultante di un gusto estremamente forte, o “tostare” sigarette utilizzando carta stagnola arrotolata intorno alla sigaretta ed il tutto riscaldato per pochi minuti al fuoco della fiamma di un accendino fino ad ottenere un colore giallastro. In questo caso l’effetto era una sigaretta dal sapore più accentuato con conseguente leggero giramento di testa (anche se devo dire per pochi minuti) e senso di leggerezza.

Il mio rapporto con la cannabis è coinciso pressoché con l’inizio dell’uso di tabacco, intorno all’età di 18 anni.
Ricordo ancora la prima volta in cui feci uso di tale sostanza, anche se devo dire con molta delusione: eravamo tutti in cerchio su di una roccia dentro un bosco e facevamo passare “il cannone” tra le nostre mani, ognuno con impazienza di vedersi scivolare “lo strumento dello sballo”. Dopo aver concluso 2 o tre giri il tutto si era concluso e vedevo i miei compagni estremamente euforici oppure all’opposto estremamente abbandonati a se stessi. Io mi domandavo in quegli istanti come mai non avvertissi gli stessi sintomi, mi dissi: “Forse, più te lo domandi, meno li avvertirai!” ed allora pensai: “E’ solo un fatto psicologico che condiziona il fisico”. Nonostante tutto, il risultato di quella prima volta fu comunque un “flop totale”, mi sentivo come una pecora nera.
Negli anni a seguire continuai, seppur in maniera sporadica a fare uso di cannabis, sempre e comunque in compagnia, mai da solo in quanto la reputavo una “cosa triste”, a differenza di molti miei compagni che si facevano il cosiddetto “personale” ad ogni ora del giorno e della notte e talvolta, quando mi capitava di acquistare fumo od erba insieme ad altri, per loro era come per un bulimico avere una scatola di biscotti: finché non ne avevano visto la fine non erano contenti. Tutto ciò per me risultava assurdo, era come prendere una sbornia con una bottiglia di vino da 100 euro: semplicemente un oltraggio al buon gusto dei prodotti della terra.

Tale uso è andato avanti direi fino al periodo universitario compreso, fino al memento in cui mi dissi: “Basta, non serve a niente, non mi dà niente, perché continuare?” Aggravante fu il fatto che in quegli anni venni a sapere degli effetti della cannabis sull’apparato neuronale e ne ebbi paura. Da allora, quando mi capita di ritrovarmi insieme ad altri che fanno uso di cannabis, preferisco partecipare bevendo un buon bicchiere di vino, magari sorridendo ai tempi passati e pensando che anche loro un giorno come me possano dire: “E’ tutta una falsa illusione cercare di sfuggire alla realtà, la realtà è una ed una sola bellissima e inesplorata, poterla comprendere appieno è la sfida più grande”.

Oggi, sono un insegnate di Matematica e collaboro con vari enti.
Oggi, con grande soddisfazione, posso dire che le “mie fughe dalla realtà” e le “mie sbornie” sono rappresentate dalla risoluzione di problemi e dalla passione che metto nel mio lavoro.