L’assunzione di droghe può iniziare come una scelta volontaria finalizzata ad ottenere piacere, ma una volta dipendente, l’individuo è costretto a tale scelta anche di fronte alle conosciute conseguenze negative.
Le droghe agiscono sul sistema di ricompensa cerebrale, malgrado il cervello non si sia evoluto a rispondere alle droghe ma agli stimoli naturali, come il cibo, l’acqua, il sesso, l’interazione sociale, ricompensandoci con il piacere affinché ci nutriamo, affinché generiamo.
Ottenere adeguate risposte a questi stimoli naturali è stato quindi di assoluta importanza per la sopravvivenza della specie, la riproduzione e il concetto generale del benessere.
Comprendere il sistema di ricompensa naturale significa capire che sono altrettanto possibili stati di dipendenza dalle droghe, considerato che durante il suo percorso evoluzionistico l’uomo ha scoperto come stimolare questo sistema artificialmente, appunto con le droghe.
Gli impulsi fisiologici naturali, dato il piacere percepito e il valore incentivante di questo, incoraggiano l’individuo a ripetere l’azione; in tal modo motivano le funzioni, per cui: avere del cibo e mangiare è meglio che essere affamati, bere e meglio che essere assetati, fare sesso è più piacevole che non farlo e così via.
A ricompensare l’individuo per le naturali funzioni espletate (ed anche così apprese e memorizzate) interviene un circuito cerebrale detto sistema della ricompensa che gratifica ovvero ripaga con il piacere, con un senso di benessere, di pienezza, di soddisfazione ed anche di euforia, più o meno intenso; è come dire che il piacere è la “moneta di scambio” per quanto “di naturale” abbiamo fatto.
Siamo così sensibilizzati a tale semplice relazione, azione – risultato, che stimoli ambientali (persone, cose, suoni, luoghi) od anche il pensiero, possono far scattare il desiderio.
Lo stesso però accade di fronte alla visione di una striscia di cocaina per un cocainomane, vedere la siringa nello studio di un medico per un eroinomane o dare un rapido sguardo ad un drink che viene versato per un alcolista; sono queste esperienze innocue per la maggior parte delle persone che invece possono rappresentare uno stimolo potentissimo per individui divenuti vulnerabili a queste droghe.
Immagini ottenute con tecniche che “vedono” l’attività dei neuroni cerebrali (risonanza magnetica funzionale o tomografia a emissione di positroni) mostrano che alcune strutture cerebrali profonde, le strutture limbiche, e tra queste soprattutto il nucleo accumbens (NA),rispondono a questi stimoli “accendendosi “ (come segno di maggiore flusso sanguigno) in misura maggiore o minore, in relazione all’intensità del desiderio che scatenano.
Ciò avviene sia per gli stimoli naturali sia per la droghe.
Questo fenomeno dimostra la natura biologica della tossicodipendenza ed offre uno dei più affascinanti esempi del rapporto mente-cervello.
Ognuno di noi ricade “nelle tentazioni” e negli “atti” semplicemente per riavere le conseguenze piacevoli anche se è trascorso molto tempo dall’ultima volta che le ha sperimentate.
Spesso diamo anche un valore previsionale a quanto ci potrebbe accadere; talvolta l’aspettativa è addirittura eccessiva e cosi, spinti dal desiderio, commettiamo errori di valutazione.
Molte delle caratteristiche di questo sistema neuronale, deputato alla ricompensa, si sono conservate nel tempo e sono presenti tra le diverse specie, dalle Drosophilae (insetti) ai ratti, agli umani ed includono, tra gli elementi principali e costitutivi il sistema mesolimbico dopaminergico.
È questo un sistema costituito da un fascio di neuroni che, a partenza da una zona posta alla base del cervello (mesencefalo), detta area ventrale tegmentale (VTA), invia la dopamina (un messaggero chimico), attraverso lunghe proiezioni assoniche, raggiungendo così molte zone poste sia nella corteccia cerebrale che al di sotto di questa, in profondità, nel sistema limbico ove è presente tra le altre, il nucleo accumbens (NA).
La via dopaminergica VTA – NA è fondamentale per indurre dipendenza sia per gli stimoli naturali che per le droghe; questa via reagisce agli stimoli naturali, alle droghe producendo dopamina e quindi piacere e benessere, percepiti in proporzione alla quantità di dopamina che inonda il nucleo accumbens.
La dopamina è il correlato neurochimico del piacere; in sostanza, e, seppure riduttivamente, si può affermare “più dopamina = più piacere”. Gli animali che per varie ragioni interrompono questo circuito perdono ogni interesse per le droghe.
Le funzioni della dopamina includono, inoltre, l’apprendimento e la memoria.
Le droghe possono rivolgere a proprio vantaggio le funzioni di questo sistema, ovvero il piacere, l’apprendimento e la memorizzazione.
Tutte le informazioni ambientali vengono finalizzate a questo nuovo e più importante scopo, tutto viene utilizzato per la preparazione, l’iniziazione e l’esecuzione di comportamenti (acquisti ed appropriatamente rinforzati dalla droga) che servono a ripetere l’uso.
In realtà si finisce per divenire dipendenti dalle sostanze e dal “mondo” attorno ad esse e qualsiasi stimolo in grado di evocare la droga scatena l’irresistibile desiderio.
Questo avviene nella quotidianità o anche dopo molto tempo dopo la cessazione d’uso.
Le droghe hanno inoltre il drammatico vantaggio di avere una forza ed una persistenza molto superiore agli stimoli naturali nel controllare questo circuito perché generano un segnale di convenienza molto elevato ossia sono in grado di produrre livelli di dopamina maggiori degli stimoli naturali.
E’ interessante sottolineare che differenti tipi di droghe hanno tutti lo stesso scopo: aumentare la dopamina nel nucleo accumbens.
Per procurare euforia la dopamina agisce a sua volta su specifici recettori (D2) la cui numerosità o disponibilità pare essere persistentemente inferiore nei tossicodipendenti; anche individui obesi hanno meno recettori D2 e tale riduzione e inversamente proporzionale al loro peso corporeo.
Non è ancora ben conosciuto se la riduzione di questi recettori sia preesistente all’uso di droghe o ne sia conseguente; paiono esserci entrambe le soluzioni.
L’osservazione che, in alcuni individui, anche dopo detossificazione persista un ridotto numero di recettori D2 da indicazione dell’importanza dei fattori genetici nella tossicodipendenza rinforzando l’ipotesi della base biologica di questo disordine.
La potente convenienza prodotta dalle droghe spinge a ripetere il loro consumo e ad originare le modificazioni adattive che inducono tolleranza, dipendenza fisica e psicologica; il desiderio di “rifarsi” può rimanere per mesi, anni o persistere per sempre. Ricadere nell’uso anche dopo lunghi periodi di astinenza è “normale”, è quindi parte costitutiva della malattia.
Così si struttura la tossicodipendenza.
Definizione di tossicodipendenza
La dipendenza da sostanze da abuso (dalle droghe) è una malattia cerebrale cronica, recidivante e comunque trattabile; essa viene considerata una malattia perché modifica la struttura e il funzionamento di questo organo oltre che del comportamento.
Tale condizione si caratterizza per la ricerca e l’uso compulsivo della droga, malgrado la coscienza delle gravi conseguenze per sé e per gli altri.
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